Bolzano scomparsa


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Vendruscolo

Personaggi 3

Un alpino nei Lager


L’11 settembre del 1943 una colonna di migliaia di soldati italiani percorse a piedi la statale da Merano a Bolzano; erano inermi, affamati e passivi, controllati da militari germanici e pochi militarizzati sudtirolesi della S.O.D. Tra questi l’allievo ufficiale Alberto Vendruscolo, ventenne. Furono caricati su treni merci che presero la via del Brennero. Oggi (2010) Vendruscolo ricorda la sua lunga prigionia.
“Da Innsbruck dopo un viaggio di 12 ore arrivammo a Fallingbosel, tra Hannover ed Amburgo. Molti, sfiniti, si ammucchiarono in gruppi al riparo delle mantelle, per passare la notte sotto la pioggia. Io riuscii a infilarmi in una baracca. Poi, conoscendo un po' di francese, riuscii a imboscarmi per qualche giorno tra i prigionieri francesi che gestivano il campo". Altra sofferta trasferta fino a Siedlce, nei pressi di Varsavia, ove c'era il campo "336" per ufficiali prigionieri. "Ci offrirono di arruolarci nella divisione alpina Monte Rosa, fascista, ma rifiutammo. A mezzogiorno e la sera ci davano pane nero da dividere in sette, margarina e sbobba di verze, rape, o cose simili. Tutti i giorni decine di ufficiali si avventavano sui mucchi di bucce di patate che pelavano una seconda volta, o su resti di cucina, pur di mettersi qualcosa nello stomaco". Vendruscolo una notte riuscì a infilarsi nel magazzino viveri a fare incetta; nel loro menu comunque anche pantegane, che andavano bollite, carne chiara e tenera. Dopo tre mesi altro trasferimento, stavolta verso occidente, ché i russi stavano avanzando. Riuscì anche a scrivere a casa: "Mi trovo (censura) in un paesetto ad una ventina di chilometri da (censura, ma si trattava di Amburgo). Lavoro in una ditta che costruisce 2.000 case per sinistrati. Il mangiare me lo passa la ditta, dormiamo in cantiere. Ora la vita è diversa, non c'è più la sentinella attorno ai reticolati. Sembra di sognare".
Alberto Vendruscolo impara il tedesco, riesce a farsi assegnare all'ufficio, e vengono le bombe. "Era un mezzogiorno, ero solo nella nostra baracca, sentii crescere un fragore dal lato ovest e vidi un grande numero di aerei in formazione: stavano letteralmente arando il nostro cantiere, che aveva una forma rettangolare di diciotto per sette chilometri.
Dopo pochi secondi erano sopra di me e pensai fosse finita. Il fronte delle bombe avanzava rapidamente, volavano in aria terra, calcestruzzi, carpenteria varia, ma proprio davanti a me le esplosioni cessarono, per riprendere poco dopo, per altri nove chilometri. Le bombe che erano cadute nella zona delle nostre baracche, non erano esplose perché il terreno, originariamente paludoso, era morbido. Ben cinque bombe cadute attorno a me non esplosero. “Du hast Glück gehabt, junger Mann!” (“Hai avuto fortuna, giovanotto”), mi disse il giorno dopo uno degli artificieri”.

Le condizioni di vita migliorarono ancora quando Vendruscolo fu aggregato ad un battaglione di lavoro di 201 uomini: i battaglioni erano cinque, tutti composti da italiani. Si parte di nuovo su sei carri merci: "nel mio c'erano anche due cavalli, con la loro biada. Passata la stazione di Schwerin il convoglio si ferma su un binario morto, è notte, di fronte a noi un altro carro con i sigilli, lo apro e torno nel nostro carro con tre formaggi da tre chili l'uno che nascondiamo sotto la biada. Il treno riparte e dopo una decina di chilometri si ferma: polizia militare, ispezione carro per carro, ma i nostri formaggi sono ben nascosti". Il viaggio riprende: Berlino, Stettino, si arriva a Pölitz, oggi Police, nei pressi di Peenemünde, dove si costruivano (ma Vendruscolo non lo sapeva) le V1 e le V2. Compito degli internati era quello di produrre benzina sintetica. Lo stabilimento era un obiettivo costante dei bombardamenti. "In fabbrica - racconta - c'erano enormi basamenti in calcestruzzo sui quali erano poggiati i macchinari. Nei basamenti si aprivano dei cunicoli alti ottanta centimetri, larghi un metro, nei quali ci infilavamo quando cadevano le bombe.I traumi seguiti a questa esperienza mi hanno ossessionato per anni con incubi notturni: mi svegliavo urlando, mia moglie ne sa qualcosa". Poi Vendruscolo e un commilitone di nome Ermanno furono trasferiti alla "Barnim Schule", con l'incarico di prendersi cura di quanti si sarebbero ammassati nel sottostante rifugio in caso di bombardamento. Fecero un sopralluogo per assicurarsi sulle vie di fuga, ed ecco il primo bombardamento.
“Affluirono un gran numero di donne e bambini impauriti e piangenti, dovevamo stare quasi tutti in piedi perché non c’era posto, noi ci posizionammo nella nicchia di una porta, che avevamo preventivamente scelto come via di fuga. Poi una tremenda esplosione, una valanga di sassi nel buio, nessun grido: erano morti tutti. Noi due aprimmo la porta e attraverso una finestrella riuscimmo a salvarci, fuori un vento terribile perché erano esplose bombe al fosforo, che creavano fortissime correnti.
Dalle cantine dell'albergo sull'altro lato della piazza uscì molta gente urlante, ma un muro crollò e li seppellì. Nella grande vasca vuota al centro della piazza morirono annegati altri disgraziati: forse tentavano di spegnere il fuoco che li aveva avvolti".
Il fronte tedesco crolla, gli inglesi avanzano su Brema ove si trovano Alberto ed Ermanno che, alloggiati con altri italiani in un “Kindergarten”, godono della solidarietà della direttrice, Ursula Finken, che li indirizza alla sua casa di Lilienthal. E’ la fuga, un lungo, incessante camminare in tre (si è aggiunto un torinese, Aimeri) per centinaia di chilometri verso sud, altre avventure, sedici giorni fino a Ingolstadt, poi un camion americano fino al Danubio, quindi a piedi altri tre giorni fino ad Innsbruck, dove altri americani li portano al Brennero. “Non appena vedemmo la bandiera italiana ci furono urla di gioia. Proseguimmo su camion della Pontificia. Eravamo a casa”.

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