Bolzano scomparsa


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Danilo Franci (Pepato)

Personaggi 4






Ritratto (Romano Conversano)

Si chiamava Danilo Franci, ma il suo vero cognome era Pepato. Non era di nascita bolzanino, ma veneto di Lonigo (Vicenza). Un pittore d'importazione, quindi, come d'altronde il vetero-macchiaiolo Ulderico Giovacchini, che era venuto dalla Toscana, vestito da bersagliere, nel 1918. E a Bolzano s'era accasato, sposando una nobile. A ben vedere, l'unico pittore "italiano" dell'Alto Adige della prima metà del secolo scorso è stato in realtà una pittrice: Tullia Socin, nata proprio nella nostra città (comunque d'origine nonesa, o più nobilmente anaune, visto che suo nonno Fedele, originariamente medico, era sceso a Bolzano nell'Ottocento, e qui aveva fondato una fabbrica di strumenti musicali: armoniche e armonium). Danilo Pepato aveva a sua volta l'arte nel sangue, visto che suo padre Coriolano (riferimento classico a Shakespeare e Beethoven) era "affrescatore e decoratore di ville e chiese", una professione che nell'antico Veneto della Serenissima doveva offrire garanzie solide. Ma Danilo, dopo qualche anno di bottega con il padre, nel 1932 - erano gli anni ruggenti del ventennio - venne a Bolzano, dandosi ai lavori più disparati per sbarcare il lunario, ma dedicandosi per passione alla pittura di olii e acquerelli. La sua attività lo vede poi dattilografo in una struttura pubblica, ma nel 1939 viene arruolato nel regio esercito, ed è come militare che l'anno seguente si trova impegnato sul fronte francese, ma in attività di supporto. La sua arte esplora gli itinerari del figurativo tradizionale, quello più affine alla sensibilità della maggior parte dei suoi fruitori. Paesaggi, soprattutto, o profondità di boschi, dove i colori, i colpi di luce, si susseguono creando suggestioni affascinanti. Ma anche fiori ed angoli caratteristici di una Bolzano scomparsa. E' del 1942 il suo matrimonio con Ida, poi i figli Alberto ed Alessandra, la prima esposizione di suoi quadri nel 1950 al Museo Civico con la collettiva dell'"Unione degli artisti sudtirolesi"; quindi, due anni dopo, la sua prima personale, alla Galleria Civica. Poi il cognome Pepato che viene sostituito (1954) da Franci. Perché? La risposta sembra una battuta, ma forse non lo è: "Perché sono stufo di sentirmi dire che il prezzo dei miei quadri è … troppo pepato". L'attività di Franci-Pepato peraltro non è marginale, se si pensa che nella tradizionale mostra prenatalizia del 1958 egli espone - così annota il critico del giornale "Alto Adige" - un numero di opere rilevante sempre apprezzate sia dal pubblico che dalla critica. Nel 1955, in via Cappuccini Danilo apre un laboratorio, dove dipinge, incornicia e vende. Un'attività appassionata e quasi frenetica, che lo gratifica ma non gli è amica. Lavorare di pennello e spatola, esporsi alle esalazioni di olii e vernici, può significare anche l'insorgere di danni alla salute. Iniziano malesseri che vengono imputati alle esalazioni, dei solventi in particolare, l'artista ricorre allora alla più salutare tempera, si trasferisce in Liguria, a Nervi, dove però gli mancherà la pace tenebrosa dei boschi altoatesini, ma si respira aria ripulita dalla salsedine. Muore nel maggio del 1963 a Genova, ove è sepolto. Nelle parole di Mario Comina (maggio 1965) un ricordo postumo: "Danilo Franci è forse con Ulderico Giovacchini l'ultimo rappresentante di un'epoca pittorica che non ammette superamenti. E' come la musica di Puccini, che vive di poesia senza mai cadere di moda. Una pittura vera che da sola si spiega e si commenta, un amore per la natura e per la terra eletta espresso con il pennello e con i colori."

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