Bolzano scomparsa


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Roman Gasser

Personaggi 3

IL PILOTA ROMAN GASSER

Il bolzanino Roman Gasser ha 93 anni e vive a Soprabolzano (2011). E’ stato uno sportivo di buon livello fin dagli anni Trenta: nuoto (campione regionale di stile libero), pallanuoto, rugby, calcio (ha giocato con Edmondo Fabbri nella Forlivese), hockey (dal 1935 anche nell’H.C.Bolzano), è stato arbitro di hockey, è stato insignito della medaglia del CONI. Ed ha volato e combattuto per la Regia Aeronautica e per la Luftwaffe (da quest’ultima ha ottenuto l’aquila d’oro con foglie d’alloro per aver effettuato oltre 50 azioni di guerra). I suoi ricordi emergono da lontano. “La mia passione era il volo, avevo 19 anni quando mi presentai al corso, eravamo in trenta ed io fui tra i cinque prescelti. Mi diedero subito la divisa e dopo un mesetto mi dovetti presentare all’aeroporto Pontesella di Pola. Come allievo aviere vincevo gare sportive, sconfiggendo Marina ed Esercito: una volta mi premiò il principe Umberto. Poi a Falconara ed a Foggia dove ottenni il brevetto (dicevano ‘fatti turco, fatti indiano, ma non farti mai foggiano’): lì s’addestravano anche avieri spagnoli, perché in Spagna c’era la guerra civile. Mi trasferirono a Forlì, dove ogni tanto appariva Mussolini, cui piaceva pilotare i nostri aerei; poco dopo raggiunsi Palma de Maiorca, dove c’era la base italiana impegnata nella guerra civile, a fianco di Franco”. Per Roman Gasser iniziarono i voli di guerra. Conduceva i grossi trimotori da bombardamento S 79 con i quali si avventurava fin sulla regione basca (“bombardai San Sebastian”) e conobbe il bolzanino Guido Presel, pilota medaglia d’oro, abbattuto sulle rive del golfo di Biscaglia (1937). Poi, nel 1938, l’annessione dell’Albania e Gasser riprese a fare la spola con i suoi grossi trimotori (“per l’epoca erano degli aerei eccellenti”) tra Italia e Albania, ma erano solo trasporti: non ci fu guerra.
E venne il momento delle opzioni. I suoi familiari, impauriti dalla prospettiva di essere trasferiti in Sicilia se optavano per l’Italia (a tanta perfidia giungeva la propaganda nazista in Alto Adige), optarono per la Germania e il giovane Roman dovette lasciare la regia Aeronautica.
“Mi presentai con la divisa di aviere all’hotel ‘Bristol’, dove c’era l’ufficio delle opzioni; mi intimarono di presentarmi entro una settimana ad Innsbruck, da lì all’aeroporto di Graz dove indossai la divisa tedesca, e subito a Zeltweg, poi ad Aspern vicino a Vienna, per la scuola di volo strumentale, a fare la spola con Praga su aerei di vario tipo. Sugli aerei più grossi, come pilota avevo con me un mitragliere, un meccanico, un navigatore ed un bombardiere. Intanto era scoppiata la guerra. Mi trovai a fare voli di ricognizione a 5/6.000 metri di quota, sul territorio russo, finché non mi mandarono in Francia all’aeroporto di Berck-sur-mer, a un passo dalla Manica. Passai alla caccia, pilotavo i Messerschmitt 109 su Londra. Ero impiegato come scorta ai bombardieri e nella caccia libera, ossia attacchi a libera scelta, soprattutto duelli con aerei della RAF. Poi ai caccia alternavo i bombardieri, e scaricavo bombe. Furono due mesi pesanti: l’unico bel ricordo lo ebbi durante una breve vacanza a Parigi”. Quando la pressione tedesca sulla Gran Bretagna s’attenuò, Roman Gasser fu trasferito a Weimar, da dove conduceva i grossi JU 52 con i suoi carichi fino agli aeroporti di Minsk e Smolensk. Tornava tutte le volte con un carico di feriti. Intanto il fronte italiano in Libia era crollato ed era dovuto intervenire l’Afrika Korps del maresciallo Rommel. Nuovo trasferimento, questa volta a Corfù. “Rommel non aveva benzina e allora gliela portavamo noi in volo. Volavamo bassi sul mare per non farci intercettare, poi giunti alla spiaggia salivamo di botto perché Derna era più in alto”.
Ha mai condotto degli Stukas? “
Sì, ma solo per addestramento. Ho condotto anche gli Stukas 88, bimotori velocissimi: con quelli addestravo gli altri. Ricordo un episodio in Danimarca, dove affluivano anche piloti italiani provenienti dalla Grecia. C’era un comandante pilota temutissimo dal suo equipaggio, perché era un tremendo imbranato. Gli affidai un aereo e lui pretese di volare non da solo, ma con l’equipaggio. Uno dei suoi – un certo Kessler di Trento – mi pregò di farlo volare da solo, ma non potevo farci niente: il comandante italiano era di grado superiore al mio. S’alzò in volo con i suoi tre uomini e dopo un attimo precipitò in mare: due morti. Sopravvissero lui, ossia l’imbranato, e il trentino. Il fratello di uno dei morti lo incontrai dopo la guerra all’aeroporto romano dell’Urbe, dove atterravo con l’aereo del commerciante bolzanino Cadsky”.
La guerra volge al peggio per la Germania, e Roman Gasser viene trasferito all’aeroporto di Riem, vicino a Monaco: lì vicino si fabbricano i primi aerei a reazione. Ce n’erano 50/60 in fase di costruzione o completi che bisognava continuamente spostare via terra fino a Bad Tölz, per eludere i bombardamenti anglo-americani. Ma non si fece in tempo a impiegarli in guerra.
Ne ha mai pilotato uno?
“Sì, i Messerschmitt 262 erano dei mostri, velocissimi. Si dovevano fare curve così larghe, che si perdeva l’avversario”.
Il crollo era ormai vicino, ma a Roman Gasser e ai suoi commilitoni la verità viene nascosta: si dice loro che tra breve gli angloamericani si sarebbero alleati ai tedeschi, per combattere insieme i russi. Un giorno dell’aprile 1945 decolla da Monaco con cinque Focke-Wulf (motore stellare) per raggiungere il Po e contrastare gli americani, ma da Villafranca non risponde nessuno. A Mantova vedono i carri armati americani manovrare i lanciafiamme, decidono di atterrare sul campo d’appoggio di Vicenza, ma non si può. Vengono dirottati sulla pista di soccorso di Thiene, dove un ufficiale dice loro che non c’è più scampo: gli aerei debbono essere distrutti. I piloti di quest’ultima squadriglia vengono allora caricati su un autocarro della contraerea (la Flak) e condotti ad Innsbruck,
“Mi sono trovato là, ancora in tuta di volo e col paracadute. Attorno a me il caos. Era finita!”

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