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UN QUESTORE SCOMODO
Oltre cinquant’anni (1957) fa dietro al cimitero di Treviso un colpo di pistola alla tempia uccideva il questore dott. Renato Mazzoni. Aveva 61 anni. L’anno precedente era stato rimosso da questore di Bolzano perchè troppo “morbido” nei confronti dei sudtirolesi, dei quali intuiva i diritti. Fu allora trasferito a Treviso, ma Mazzoni non accettò uno spostamento che gli suonava come una punizione ingiusta. E così armò la sua mano e si tolse la vita. Il Dolomiten lo definì “un italiano, un italiano esemplare e, proprio come tale, un europeo”.
Mazzoni era nato nel rodigino, ed era figlio di un cancelliere di tribunale. Fu ferito durante la prima guerra mondiale: successiva laurea in legge e carriera nella pubblica sicurezza. Fu impiegato nella polizia ferroviaria, cosa che – viaggiando – gli consentì durante la seconda guerra mondiale di favorire i rapporti tra vari comitati di liberazione. Nel maggio del 1947 fu promosso a questore e destinato a Bolzano. Mazzoni non era informato sulla situazione altoatesina, ma ben presto si rese conto che, se voleva far bene il suo mestiere, che per lui significava stare tra la gente e farla parlare, doveva assolutamente conoscere il tedesco. Fu così che imparò la lingua da autodidatta, giungendo a leggere i filosofi tedeschi e Goethe, nonché i classici greci e latini tradotti in tedesco. Durante i successivi dieci anni non solo i due gruppi etnici principali, ma anche i rappresentanti di tutte le forze politiche, dalla destra alla sinistra, ebbero modo di apprezzarlo non solo come uomo, ma anche come esponente dello Stato, di cui si considerava servitore. Ma l'atteggiamento equanime verso il gruppo tedesco, alla lunga, gli tornò nefasto. Nel marzo del 1957 l’allora ministro degli interni gli chiese in una nota riservata di esporgli “senza reticenze e per intero” (sono parole del ministro, riportate nella nota di risposta del dott. Mazzoni in data 17 marzo 1957) il suo pensiero “circa la situazione che è venuta maturandosi in Alto Adige a seguito dei recenti noti fatti (il memorandum dell’Austria all’ONU, i primi attentati, ndr), al fine di individuare eventuali mancanze di parte italiana”.
La risposta del Questore fu lunga e circostanziata. Tra l’altro: “Penso che il tutto sia derivato da una grave carenza culturale, quindi miopia politica della classe dirigente trentina, la quale non avendo capito quale strumento prima culturale e poi amministrativo per una pacifica convivenza in Regione fosse lo Statuto di Autonomia, ha perso un'occasione storica per dimostrare all'Europa la possibilità di una libera, civile, democratica convivenza fra due gruppi etnici, in un ambito territoriale definito. Altrettanto anticulturale il considerare decadente folclore ogni manifestazione della vita sudtirolese, rifiutandosi di comprendere come la etnicità non sia soltanto lingua ma anche dialetto, usi, costumi, tradizioni, quindi tutto quello che ci giunge dal passato. Il definire "civiltà della Stube" tale tipo di etnicità dimostra solo arroganza e demagogica contrapposizione di una presunta superiorità della civiltà latina nei confronti di ogni altra differente manifestazione di vita. Il sistematico rifiuto alla comprensione, ignoranza della lingua tedesca da parte di uomini politici, magistrati, alti funzionari dello Stato, ha creato un impenetrabile barriera alla comprensione delle esigenze etniche del gruppo minoritario”.
Dopo aver sottolineato i suoi sforzi sulla via dell’apprendimento della lingua tedesca e dell’avvicinamento ai sudtirolesi il dott. Mazzoni così proseguiva: “In questa sua opera anticulturale e antistorica la classe dirigente trentina ha provato potenti alleati nei circoli nazionalisti alto-atesini, annidati in tutti i partiti e con particolare potenza nella Democrazia Cristiana, e nell’apparato burocratico dello Stato, ad ogni livello a Roma come a Bolzano. Non va sottaciuta nemmeno l’opera deleteria della stampa”. Più avanti, a proposito dell’insegnamento nelle scuole della lingua tedesca, scriveva: “Penso a mio figlio e a quelli che dopo di lui verranno, i quali oltre a non comprendere i loro coetanei di lingua tedesca, non saranno nemmeno competitivi con gli stessi nel trovare occupazione non solo nella burocrazia, ma in ogni altra arte o mestiere”. Più avanti, allargando il quadro politico: “La pretesa da parte della classe politica trentina di mette sotto tutela il gruppo etnico italiano in funzione anti-tedesca e per una rivalsa nettamente provincialistica, quale riparazione di presunti torti subiti nel ventennio, ha ulteriormente aggravato la situazione. (...) Fatale è stato quindi che il gruppo etnico tedesco si sentisse tradito nelle sue aspirazioni ad una vera autonomia e che quindi facesse risuonare lo slogan ‘Los von Trient’. Si badi bene che ‘Los von Trient’ non vuole ancora dire ‘Los von Rom’ se con alta intelligenza politica si vorranno riannodare i fili del dialogo e ricondurre tutto il problema nella sua naturale sede che è profonda revisione dello statuto che dia certezza legislativa e amministrativa alle aspirazioni della minoranza etnica tedesca e che nel contempo secondo giustizia e non con ‘italica furberia’ assicuri l’avvenire anche agli italiani dall’Alto Adige e ai loro figli in una rinnovata pace etnica e sociale”.
La relazione del questore bolzanino, che si prolunga con osservazioni pertinenti ed acute, appare di un’incredibile lungimiranza. Significativa della personalità del Mazzoni ne è la conclusione: “Signor Ministro, offrendo a Lei la mia completa disposizione quale Poliziotto al servizio dello Stato per tutto ciò che mi sarà consentito di fare. Ho sempre saputo che il servizio dello Stato comporta anche il saper accettare il sacrificio di personali posizioni, tuttavia intendo affermare che se dovesse presentarsi questa evenienza come in altri drammatici momenti, la mia vita pubblica e privata, la linea di condotta da seguire, mi sarà dettata unicamente dalla mia coscienza, ultimo tribunale del mio agire”.
Di lì a pochi mesi, secondo le previsioni del dottor Mazzoni, ci sarebbe stato Castel Firmiano, si sarebbero intensificati gli attentati, sarebbe scorso del sangue, e il governo italiano avrebbe dovuto concedere molto più tardi e sotto la pressione degli eventi quel nuovo Statuto che avrebbe potuto varare molto prima, a condizioni forse meno gravose. Mazzoni fu trasferito a Treviso. Il Dolomiten in un commento non firmato, ma dovuto sicuramente al suo direttore sen. Volgger, scrisse (13/12/1957) in occasione del trasferimento: “Il Questore MAZZONI può lasciare a testa alta il suo posto a Bolzano. Se vi fu un italiano dal giorno dell’annessione del Sudtirolo all’Italia, che abbia portato questo Stato più vicino ai sudtirolesi, costui è stato il dott. MAZZONI”. Scrisse Piero Agostini sul Mattino (1/4/1990): “Lo Stato non lo ascoltò. I giornali (...) nemmeno. Poi, con una di quelle classiche contorsioni che servono al potere per trovare comunque un capro espiatorio, all’indomani di Castelfirmiano Mazzoni fu, di fatto, sollevato dall’incarico. La dignità con cui subì quell’affronto fu totale. Ma di lì a poco, e tragicamente, ne morì”.
Molti anni dopo (2010) il Comune di Bolzano ha intitolato al questore Renato Mazzoni la piazzetta che si trova all’estremità ovest di ponte Druso. Un riconoscimento dovuto, anche se purtroppo postumo.